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Luigi Ratini. Trento 1880 - Trento 1934

La mostra (Trento, Palazzo Trentini, fino al 2 luglio; poi Arco, Palazzo dei Panni fino al 24 agosto) cerca di portare un contributo alla conoscenza di un autore, Luigi Ratini, regolarmente citato accanto a Luigi Bonazza come interprete locale del clima secessionista, ma mai troppo ben indagato in tutti gli aspetti della sua produzione, come annota anche la curatrice Giovanna Nicoletti. Lo stimolo per questa ricognizione, che resta comunque parziale, a più di vent’anni dalla mostra che Palazzo delle Albere dedicò al ciclo delle illustrazioni dell’Eneide per la cura di Michelangelo Lupo, viene anche dalla recente tesi di laurea di Paola Caneppele, autrice di un intervento in catalogo.
La concreta difficoltà di documentare l’opera di questo artista nasce dal fatto che, mentre è ben nota e accessibile la produzione grafica, è invece grandemente dispersa quella dei ritratti. Il talento naturale di Ratini per il ritratto fu subito riconosciuto a Trento, e gli valse fin da giovane il soprannome di "obiettivo Zeiss": un apprezzamento, o piuttosto una riserva per la fedeltà descrittiva? Sono del 1902 i ritratti di due coniugi, di gusto pienamente realista e ottocentesco benché ormai saldamente dentro la cultura da "posa fotografica" (del resto confermata dalla fotografia della moglie che appare nel ritratto del marito). Più vibrante di sentimento appare il ritratto della madre, Anna Ducati, del 1908, tutto tocchi morbidi, magri, lontani dalla levigatezza fin troppo composta di altri primi piani, tra i quali troviamo, ad esempio, quello dell’amico pittore Attilio Lasta, del 1917. In omaggio al gusto del decorativismo tardo secessionista, la figura viene qui, e in altri casi, stagliata su un fondo di ornamenti piatti, come se il soggetto fosse addossato a una carta da parati. Più naturali le prove a carboncino dedicate allo stesso Lasta e a Riccardo Zandonai.
Emergono dunque le matrici formative delle accademie frequentate, prima a Monaco, poi a Vienna proprio a cavallo di secolo, infine a Roma, la base cioè di un disegno classicheggiante combinata con gli stilemi e i temi propri del clima simbolista e secessionista. Sarebbe interessante, avendo a disposizione un più largo numero di prove pittoriche, osservare se e quanto Ratini confermi una tendenza all’idealizzazione della figura.
Che ci sia in lui una fondamentale tendenza al mito, è evidente da tutto il resto della sua produzione. Sappiamo che il progetto di illustrare l’Eneide risale agli anni precedenti la Grande Guerra, anche sulla base del fascino che esercitarono su di lui ragazzo le illustrazioni di Gustav Dorè per la Commedia.
Saranno invece alcuni miti tratti dalle Metamorfosi di Ovidio ad offrire il materiale narrativo del primo ciclo mitologico negli anni Venti, su incarico dell’editore parigino Richardon. Dove si celebra il culto di una bellezza statuaria e si rivisita l’estetismo klimtiano nel contrappunto tra il corpo e l’elemento decorativo delle stoffe.
In epoca ormai fascista, il contesto ideologico diventa per Ratini una specie di acceleratore del suo programma di rivisitazione della classicità, soprattutto del poema fondativo della civiltà romana, l’Eneide. (Il progetto resterà incompiuto per le difficoltà finanziarie dell’editore, ma anche per il declinare della salute di Ratini, che morirà nel 1934). Del resto, altri bozzetti per pergamene celebrative dimostrano la disponibilità dell’autore a soddisfare senza remore anche una committenza di regime.
I cicli mitologici, nella loro teatrale perfezione classicheggiante, prolungano, dopo tutte le avanguardie, il culto di un linguaggio freddo e anacronistico, che non pare fatto per toccare il cuore. Invece, nelle storie della Bibbia, in cui pure si è cimentato, alcune scene di animali al momento della creazione ci catturano in una strana, inattesa dimensione fiabesca.
da "Questotrentino" 23 giugno 2003 di Stefano Zanella