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Cavalieri di Ekebù
di Riccardo Zandonai (1883-1944)

libretto di Arturo Rossato, dal romanzo "La leggenda di Gösta Berling" di Selma Lagerlöf

Dramma lirico in quattro atti

Prima:
Milano, Teatro alla Scala, 7 marzo 1925

Personaggi:
Giosta Berling (T), la comandante (Ms), Anna (S), Sintram (B), Cristiano (Bar), Samzelius (B), Liecrona (T), un’ostessa (Ms), una fanciulla (S)

Nel 1924 dallo stesso romanzo da cui è tratta l’opera di Zandonai era stata girata una pellicola con Greta Garbo (adattamento e regia di Mauritz Stiller), fatto più unico che raro nella storia dell’opera. Zandonai si trovò dunque ad avere a che fare con un materiale letterario piuttosto noto e circolante: elemento da non sottavalutare per comprendere il successo dell’opera.

Nel medioevo scandinavo. L’alcolizzato prete svedese Giosta Berling è stato bandito dalla chiesa per il suo vizio: siccome gli si è rivoltata contro anche l’amata Anna, desidera la morte. Ma una pietosa e misteriosa comandante, castellana di Ekebù, gli offre lavoro tra i non meno misteriosi cavalieri che sono alla sue dipendenze. A Natale, Giosta si dichiara in pubblico ad Anna. Sintram, con cattiveria, dice che la comandante ha venduto al diavolo (Ekebù non ricorda Belzebù?) le anime dei cavalieri da lei stessa raccolti fra uomini ai margini della vita e della società. Accusata di stregoneria, la comandante viene così cacciata. Ma i cavalieri la richiameranno, già malata. Ella perdona chi le ha fatto del male; e, morendo, lascia i propri averi a Giosta e Anna.

Diretta con successo trionfale da Toscanini, l’opera ebbe breve fortuna fuori di Svezia (ma una ripresa notevole, con registrazione discografica, si è avuta nel 1983 a Rovereto, città natale di Zandonai, per il centenario della nascita, sotto la bacchetta di Gianandrea Gavazzeni), e viene considerata, con Francesca da Rimini , la migliore riuscita dell’autore e la sua partitura più rigogliosa. Nella tensione drammatica, nella ricostruzione dell’atmosfera di durezza scandinava (Zandonai aveva lavorato sulle raccolte di canti popolari svedesi), l’opera si situa in un momento già successivo rispetto al verismo, raggiungendo punte violentemente espressive. Inoltre, a differenza delle rigide consuetudini veriste, il libretto affresca una storia lontana in spazio e tempo, in una esemplarità di tipo simbolistico organizzata secondo distinti quadri ambientali nell’insieme di notevole impianto scenico. Opera corale, redige tuttavia una tessitura piuttosto ardua per le parti vocali dei solisti (prevalente il declamato), particolarmente per le voci di Giosta e della comandante. La parte orchestrale, opulenta e pastosa nelle armonie dagli spunti anche arcaizzanti quanto raffinata per gli interventi concertanti, s’è spesso definita sinfonica e, come quella corale, segnala una ricorrenza di ritmi quasi percussivi: ricordiamo, ad esempio, l’incalzare dei martelli nelle ferriere, citazione che discende piuttosto dal Ring che dal Trovatore .

r.ma.