✔ XS - piccolissima (227 x 324)
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✔ M - Media (417 x 594)
✔ L - Grande (422 x 600)
Originale
ARNALDO MARIO BAROZZI (ROVERETO, 1891-1979)
Fotografia autoritratto 30 settembre 1933 anno XI
Da una appassionata, precisa e giustamente orgogliosa ricostruzione storica dal sito della Ditta BAROZZI PITTURE di Riccardo Barozzi Rovereto
A pochi passi dal Teatro Zandonai, nell’allora via Imperiale di Rovereto (poi – i nomi delle vie mutarono col mutare della storia – divenuta Corso Vittorio Emanuele II, Viale Trento, e invine, Corso Bettini) c’era nel secolo scorso una stazione di posta con albergo. Vi arrivavano le diligenze, vi trovavano cibo e riposo i viaggiatori nonché i cavalli. Allineate nei piani superiori le stanze da letto, ognuna col suo servizio;al pianterreno, affacciate sul cortile selciato, la cucina, le rimesse per le diligenze, le scuderie. Nella bella stagione si mangiava all’aperto in un “gloriette”.
Quando Abbondio Barozzi comprò l’edificio della stazione di posta che si trasferì altrove, era il 1885; Abbondio veniva dalla vicina Lizzana, figlio di un pittore decoratore. Aveva ventitré anni. Forse lo aiutò il padre, probabilmente fece dei debiti per comperare quell’edificio che è tuttora dei Barozzi.
Era un uomo pieno di vitalità, di interessi: vecchie fotografie di fine Ottocento ce lo mostrano suonatore di trombone nella Banda di Rovereto o pompiere in bicicletta: erano, con ogni probabilità, le biciclette vendute dai Bontadi. Benché fosse un pittore decoratore che non aveva fatto nessuno studio, venendo dalla gavetta paterna, era un decoratore molto apprezzato, così come l’azienda che aveva creato.
Agli inizi del nuovo secolo sorse a Rovereto quello che Giovanni Tiella ha definito l’edificio più ragguardevole fra quanti sorsero al principio del nostro secolo: è il palazzo della Cassa di Risparmio, che dà sulla Piazza Rosmini. Vennero smantellate le sovrastrutture dell’edificio di lontani origini quattrocentesche un tempo dei Conti d’Arco e dei Del Ben, ultimamente sede delle I.R. Poste e Telegrafi.
Il progetto è dell’architetto e pittore Augusto Sezanne, veneziano, con l’assistenza tecnica dell’ingegnere roveretano Osvaldo Candelpergher. Uno stuolo di pittori lavorò agli affreschi, alle decorazioni di questo gioiello neorinascimentale, sotto la guida di Sezanne. C’erano pittori come il prof. Decol di Bologna, il prof. Antonio Mayer di Mori; c’era il giovane Umberto Moggioli, allievo prediletto di Sezzane all’accademia di Venezia che, lavorando a quelli affreschi si fece un po’ le ossa e guadagnò qualche soldo per pagarsi gli studi. Tra gli artigiani decoratori c’era Abbondio Barozzi che lavorò assieme a due artigiani della sua bottega, Casimiro Salvelli e Virgilio Alverà, di Verona.
E, quindicenne, come “bocia” che non si limitava a mescolare i colori, ma, come ha lasciato scritto lui stesso, con un accenno di orgoglio che rompeva il bozzolo della naturale modestia “mi esercitavo, sotto la guida, alla metope semplici con cornucopia”, c’era anche Mario Barozzi, figlio di Abbondio, Mario aveva dimostrato una passione precoce per la pittura: così suo padre lo mandò a Milano, dove il giovane frequentò l’Accademia di Brera, dal 1907 al 1912 e, contemporaneamente, la Scuola Superiore d’Arte Applicata nel Castello Sforzesco.
Quando Mario Barozzi, diplomato, rientra a Rovereto possiede le conoscenze teoriche e le capacità pratiche che gli permetteranno di svolgere un’enorme produzione di pittore originale, affrescatore, decoratore, restauratore lungo un arco di oltre sessant’anni (Mario è scomparso nel 1979, a 88 anni).
Abbondio Barozzi morì nel 1928 e l’azienda paterna fu continuata da Mario assieme al fratello più giovane, Giulio. Erano gli anni in cui (un po’ attardato come sempre avviene in provincia) continuato il gusto del “liberty” e c’era quindi una notevole richiesta di decorazioni di questo tipo.
La bottega dei Barozzi si sviluppò a vera azienda che, tra le due guerre, giunse ad impiegare una settantina di pittori decoratori.
Ma ritorniamo al periodo 1913-1914, quando Mario Barozzi, rientrato a Rovereto da Milano, lavora sotto la direzione di Sezzanne ai restauri degli affreschi al Castello del Buonconsiglio di Trento.
Scoppia la guerra e Mario, a ventitrè anni, viene arruolato nell’esercito austroungarico. Il 6 luglio del 1916 viene ferito sul fronte russo, nel corso dell’ultima grande offensiva lanciata dal generale Brussilov.i russi sfondarono a Luzk e, in sei settimane, fecero 350 mila prigionieri; le armate austroungariche persero il 60% dei loro effettivi. Mario Barozzi non amava rievocare quei fatti della Grande Guerra, ma ciò che ne seguì: la sua attività negli anni di pace.
Con la pittura da cavalletto, negli anni attorno al Trenta, partecipò a tutte le sindacali di Trento e Bolzano, alla Collettiva di Roma. Alla VI° Sindacale di Trento gli venne assegnata la medaglia d’argento per il suo autoritratto su affresco. Era divenuto amico di un po’ tutti i pittori roveretani: i Baldessari, Tiella.
Depero era di casa dai Barozzi. Un’amicizia molto intensa c’era con Alcide Ticò, giovane scultore di Volano che gli fece un ritratto in gesso. Allora era un’artista squattrinato ma in seguito si fece un buon nome, lavorando e insegnando a Roma e a Capri. Ticò vive ancora ad Ortisei.
Mario, con la passione artigianale che aveva nel sangue, non disdegnava però anche i piccoli lavori come insegne artistiche, restauri di meridiane, orologi, diligenze. Si, proprio le diligenze, che ogni tanto ritornavano nel cortile selciato di casa Barozzi per farsi ravvivare le vernici, le scritte, gli stemmi. Ci vennero sin verso il 1930, quando sparirono le ultime.
Ma il lavoro principale di Mario, coadiuvato da suo fratello Giulio, era riservato alle decorazioni originale ed ai restauri. Impossibile enumerare tutti i lavori durati oltre un sessantennio. Per citare solo i lavori originali di derogazione si possono ricordare le decorazioni nella Sala Consigliare di Rovereto, alla Loggia del Municipio con tutti gli stemmi (una cinquantina) delle famigli nobili della Vallagarina; la decorazione nella Sala della Campana al Museo della Guerra. Fuori regione i Barozzi hanno lavorato in Veneto, Emilia, Marche, Umbria.
Da citare la decorazione del Palazzo cumunale di Acquasparta, in Umbria e quella (esterna e interna) dell’asilo “Ines Bonazzi”, nel 1926-27, ad Arzignano (Vicenza).
I restauri degli affreschi sono stati anche più numerosi: al palazzo della Cassa di Risparmio, alla Cappella Cavalcabò di Borgo Sacco, al palazzo dei marchesi Guerrieri-Gonzaga a Borghetto, al Teatro Zandonai…. Insomma, per due generazioni i restauri più importanti di affreschi nel Roveretano sono passati per le mani dei Barozzi. Nel frattempo erano nati i figli di Mario, Renzo (che dal 1936 al 1941 avevano frequentato, diplomandosi, l’Accademi a Cignaroli di Verona).
Dopo la guerra Renzo cominciò a lavorare nella ditta di uso padre e di suo zio Giulio. Morto questi, Mario cedette l’azienda ai figli Renzo e Abbondio (lo stesso nome del nonno che aveva messo su bottega a Rovereto).
Ma un artista, un lavoratore come Mario, non poteva starsene in pensione, anche se aveva ormai superato i 76 anni. Così continuò ad arrampicarsi sui palchi di lavoro, qualche volta cadendone, fortunatamente senza gravi conseguenze.
Nel frattempo le cose cambiavano: non c’era più richiesta di pitture decorative; agli operai usciti dalla “scuola” dei Barozzi si mettevano in proprio, si univano in cooperative, i restauri delle opere d’arte venivano sempre più affidati a giovani legati ai vari sovrintendenti.
Così Renzo Barozzi si è fatto da parte, si è messo in pensione.
Nel 1988 rimane sulla breccia il fratello Abbondio con il figlio Riccardo subentrato al posto dello zio Renzo e cercando di complementare i restauri con lavori in edilizia rimanendo pur sempre legati a lavori di riqualificazione edifici storici e tinteggiature di qualsiasi tipo con la passione e l’esperienza tramandata da padre in figlio.
Nel 2000 Abbondio all’età di 71 anni si mette da parte e al suo posto entra l’altro figlio Andrea portando avanti l’attività del padre con Riccardo .
In poche parole Barozzi è uguale a pitture.
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